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Thank you

Un piatto gigante di noodles e i maledetti dumplings. L’uomo in mutande che faceva la spesa a Marylebone. Sederci sul bus a due piani, proprio in posizione turista, e – non te l’ho detto – il panico quando sembrava che l’autobus svoltasse dalla parte sbagliata. Atterrare a Bergamo, salire in macchina e pensare che anche qui va tutto al contrario. La fabbrica di sigarette in stile new egyptian con i gatti neri sulla facciata. La sfilata di modest fashion e la battuta sui burka. Le vesciche ai piedi e i polpacci duri. Parlare così a lungo che ti si secca la lingua. Con la scusa di goderci il sole, sederci a riposare e parlare di omofobia e maschilismo. Raccontare perché una cosa mi rende infelice e rendermi conto che è tutta una mia paranoia. Parlare di sesso, di figli, di Kodak e business model. Comprare un abito a Spitafields market e non poter aspettare che sia la stagione giusta per metterlo. I significati nascosti delle ginocchia al petto. Imparare a cucinare il pesce e tornare a casa ad esercitarsi con la trota salmonata. Dover aspettare mercoledì per dare a Marta il regalo più bello di sempre. Le fatine che volano, i figli che mancano ma anche no, mangiare un bagel con falafel, salsa di mele e rocket salad. Progetti: in corso, futuri, impossibili, insomma proprio tutti. Il caso che ci ha fatto incontrare e quel modo di riconoscerci anche dopo anni, simili. I libri, tanti libri, persino le edizioni critiche.
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Scoprire che il più bel posto del mondo è quello dove ti senti a casa, e ti senti a casa tutte le volte che non hai bisogno di inventare una te migliore, perché quella che sei è sufficiente.